programma 2021

Cari amici, vi è ben noto che da quando c'erano le zone rosse e gialle etc. con uscite di casa solo se c'era una giustificazione valida, questo covid 19 ci ha perseguitato: sanificazioni, distanziamento, temperatura, mascherine etc.etc. per non dire di contagiati e morti. Adesso sembrerebbe invece che tutto vada migliorando ma la prudenza non è mai troppa e quindi, sebbene si sia deciso di ricominciare con le escursioni lo faremo come per andare in un ufficio pubblico (tipo la biblioteca comunale in venezia): prenotazione con e mail entro il venerdi e green pass ...................da ricordare che le iniziative per gli iscritti 2020 sono gratuite, compensando un programma non attuato causa covid.    

Vogliate scusare le inevitabili seccature ma la salute è un bene troppo prezioso per metterlo a rischio.

Il programma previsto è dunque limitato ed inizia da ottobre: più che altro un tentativo, in attesa finalmente della normalità.

Domenica 3 ottobre: al borgo fantasma di Mirteto

Domenica 10 ottobre: passeggiata a bocca di Serchio

Domenica 24 ottobre: escursione a Ripafratta (storica) e Molino di Quosa (castagnata)

Domenica 7 novembre - Da Pruno alla cascata dell’acquapendente

Domenica 21 novembre - il Parco delle Biancane

 

Domenica 3 ottobre: per la valle delle fonti al borgo fantasma di Mirteto

Mirteto è un piccolo borgo monastico sui Monti pisani, ricadente nel comune di San Giuliano Terme attualmente in stato di abbandono, a circa 282 m.s.l.m.. sopra il paese di Asciano e giace nel solco segnato dal rio Foce Pennecchio, sul versante orientale del monte Faeta.

Il complesso, comprende una chiesa di stile romanico del XII secolo intitolata a Santa Maria di Mirteto, all'epoca dipendente dalla Badia di San Michele alla Verruca ed attiva fino al XVIII secolo, diventando poi nel 1712 un oratorio privato. Attualmente versa in stato di rudere, ma con muri e altare ben conservati. Interessanti e da vedere sul percorso anche i resti di manufatti che facevano parte dell’acquedotto mediceo, attivo tra il sec.XVII e il XX, fatto costruire da Ferdinando I° de’Medici tra il 1588 e il 1592 (il Cisternone e la Casa del Fontaniere).

nota: L'Acquedotto Mediceo è un antico acquedotto attivo per tre secoli tra il XVII e il XX secolo che attraversa la provincia di Pisa. Fu fatto costruire su iniziativa del granduca Ferdinando I de' Medici, che ne affidò il progetto all'architetto Raffaello Zanobi di Pagno tra il 1588 e il 1592. Nel 1594, in seguito a malattia, subentrò alla direzione del progetto l'architetto Andrea Sandrini, che dovette sistemare la condotta a causa di un errore di progettazione che faceva ristagnare l'acqua non facendola arrivare a Pisa, completò il tutto nel 1613 sotto il granducato di Cosimo II de' Medici. È composto da 954 archi equidistanti e decrescenti, edificati con mista di pietrame e laterizi alternati in modo da regolarizzarne la struttura. Le basi di fondazione degli archi sono basati da tronchi di pini interrati. La canalina dove passava l'acqua fu realizzata in terra cotta e sopra di essa vi sono lastre di pietra per evitare il riscaldamento dell'acqua da parte del sole e per evitare l'introduzione di sporcizia. Attualmente lo stato di conservazione dell'acquedotto in tutto il suo tracciato è vario ma mediamente scarso.[4] In dettaglio molte aree dell'acquedotto sono lasciate abbandonate a se stesse, senza alcun intervento fine ad assicurarne la conservazione nel tempo, così da risultarne compromessa la stabilità statica in alcuni punti. Molti archi hanno infatti una pendenza che arriva a 12° e presentano vistose crepe.

Come arrivarci: lasciata l’automobile in piazza delle lavandaie si prosegue a piedi su asfaltata fino alla fine di via Barachini e oltre per via martiri della libertà. Terminata l’asfaltata si prende il sentiero 119 attraversando degli uliveti e si arriva alla Casa del Fontaniere (in pratica, parcheggiata l’auto si va sempre a diritto. Ottimo il cartello esplicativo, in piazza). 

Trovato sulla destra l’edifico ristrutturato di quella che era la casa del fontaniere, custode dell'Acquedotto mediceo e che regolava l’afflusso di acqua sulla condotta verso Pisa, più avanti troviamo Il Cisternone (dove veniva raccolta l’acqua delle sorgenti più superficiali e dunque meno pure, per farla sedimentare ed immetterla sull’acquedotto per alimentare Pisa con i suoi 33000 abitanti, per 12 ore, in epoca medicea).   Proseguendo sul sentiero 119 poi, lasciato il Cisternone alla nostra destra e il torrente Zambra sulla sinistra, dopo circa 200 metri troveremo una casetta con all'interno una fontana di ottima acqua di sorgente e, proprio di fronte alla fontana, troviamo un ponte in pietra. Dopo aver attraversato il ponte la mulattiera ci condurrà a Mirteto, antico insediamento abitativo monastico di cui si hanno notizie a partire dall’anno mille (da questo punto la salita diviene faticosa). A Mirteto saremo circondati da un insediamento di vari fabbricati, dalla chiesa ai ruderi degli annessi monastici (abitazioni, granai e il frantoio). Al termine della visita di questo borgo ormai fantasma, si rientra ripercorrendo la strada dell'andata, oppure si può continuare per un sentiero dietro la chiesa, a destra, chiudendo un anello che va a riprendere in discesa il sentiero 119, all'incrocio con il 117 che non ci interessa, per tornare al Cisternone,

Dettagli tecnici: difficoltà media. Dislivello in salita m.280. Sentieri da percorrere n°119-121-119. Tempi: h.0,30 da piazza delle lavandaie al Cisternone, h.1,00 dal ponte di pietra a Mirteto (i tempi di salita dipendono dal passo e possono aumentare di 30 minuti). In discesa i tempi sono leggermente inferiori. Nota: l’auto può anche essere lasciata lungo via martiri della liberazione, dopo la piazza e dopo via Barachini, risparmiando 15 minuti di salita e 15 di discesa. Da dire comunque che la salita dal ponte di pietra a Mirteto è abbastanza faticosa. info e prenotazione a agireverde@tin.it entro il venerdi precedente.

Domenica 10 ottobre: lungo le lingue dunali a bocca di Serchio


La Riserva naturale di Bocca di Serchio: Il territorio è caratterizzato da “macchie” retrodunali, attualmente trasformate in pinete con porzioni di bosco a caducifoglie (leccio, farnia, ontano) e, davanti al bosco, è poi presente una lunghissima costa sabbiosa, per buona parte integra, con rigogliosa vegetazione dunale e anche zona di riproduzione del Fratino, uccello migratore che qui si crea nidi e del quale ormai ne esistono, stimate in diminuzione, dalle 1.600 alle 2.000 coppie in tutta Italia. https://www.regione.toscana.it/-/s-o-s-fratino

http://www.uccellidaproteggere.it/Le-specie/Gli-uccelli-in-Italia/Le-specie-protette/FRATINO

http://www.centrornitologicotoscano.org/site/pub/Progetto.asp?IdProgetto=23&IdGalleriaImmagini=

video https://www.youtube.com/watch?v=hpPOy0rWR8U

 

 

 

 

Oggi noi seguiremo le lunghissime lingue dunali sabbiose che, arrivando fino a Torre del Lago Puccini da Marina di Vecchiano, rappresentano uno dei rari tratti di arenili toscani, rimasto praticamente incontaminato e dove si può ancora osservare un ecosistema di rara bellezza. Particolarmente paesaggistico sarà il cammino che corre parallelo al mare, costeggiando il Serchio, ma anche interessante sarà per la presenza di una varia avifauna (gabbiani e starne, ma soprattutto la Berta maggiore, la Berta minore e la Sula), comprendente, come detto il Fratino, l’unica specie nidificante nel territorio e che è facile vedere zampettare sulla battigia, specie protetta ed a pericolo di estinzione che qui nidifica.

Il percorso è facile e pianeggiante, di circa km.6,5 da farsi in semianello in tre ore circa, escludendo le soste di birdwatching e per ammirare un ambiente fluviale/marino veramente incantevole.

Nota: parcheggio nella prima area di sosta di Marina di Vecchiano. Periodo consigliato ottobre e marzo. Nota: il nostro trekking si interromperà oggi alla piazza principale non arrivando fino alla sbarra, dopo la quale inizia la ciclopedonale per Torre del Lago (altri 3Km + 3) percorribile però anche lungocosta.

info e prenotazione a agireverde@tin.it entro il venerdi precedente

 

 

domenica 24 ottobre: escursione a Ripafratta (storica) e Molino di Quosa (castagnata)

La rocca di Ripafratta, nota anche come rocca di San Paolino o castello di Ripafratta, è un castello medievale situato sul colle che sovrasta il paese di Ripafratta, al confine della provincia di Pisa. Caratterizzata da un recinto a pianta poligonale irregolare, occupato al centro da una torre quadrangolare e da altre due torri adiacenti alle mura, è difesa anche da tre torri di avvistamento e presidio dei sentieri di aggiramento che sorgono sui colli circostanti: la Torre Centìno, la Torre Niccolai (ancora ben conservate) più una torre anonima (di cui restano pochi ruderi) e rappresentava Il sistema difensivo di confine della Repubblica Pisana nei confronti dei vicini lucchesi e prevedeva altre torri e fortificazioni, site nelle località vicine, come la Torre dell'Aquila (detta Torre Segata) presso Filettole o la Torre di Rosaiolo presso Avane.

L'intera valle del Serchio comunque, era costellata da torri e castelli che le due Repubbliche di Pisa e Lucca costruirono per sorvegliare i propri confini e un territorio ricco di strutture civili, militari e religiose, un sistema feudale molto regolamentato nel quale le due città di Lucca e Pisa si contendevano la supremazia, con accordi o guerre, subendo e assecondando le influenze dei rispettivi vescovi e della sovranità imperiale, situato com’era in una zona favorevole per la riscossione dei pedaggi stradali e fluviali.

I conflitti tra le due città confinanti videro sempre più spesso Ripafratta al centro delle operazioni militari, di difesa o di conquista, spesso ceduta o occupata per patti, o presa come bottino di guerra. Il castello è stato conteso nel corso dei secoli, anche con assedi e aspre battaglie, dalle potenze pisana e lucchese, prima di passare definitivamente in mano fiorentina alla metà del XIII secolo, perdendo gradualmente importanza con il mutare delle condizioni politiche e con la "pacificazione" imposta dal dominio fiorentino, la Rocca che per secoli aveva presidiato un confine che adesso non necessitava più di difesa, già nel 1607 risultava abbandonata e anche adesso è soffocata dalla vegetazione ed in attesa di urgenti interventi di recupero e messa in sicurezza, 

info:

https://www.salviamolarocca.it/rocca-ripafratta-storia/

https://castellitoscani.com/ripafratta/

https://www.italianostra.org/beni-culturali/rocca-di-san-paolino-a-ripafratta/

dettagli: escursione di valenza storico/naturalistica (a piedi si percorreranno complessivamente circa Km.5)

la mattina - lasciata l’auto al parcheggio della stazione ferroviaria di Ripafratta, si raggiunge la piazza del paese (a m.600) e si inizia una moderata salita in via S.Lega (poco più avanti), salita che in breve ci porta a uno spiazzo erboso dove si dipartono 3 sentieri:

uno a sinistra per la Rocca, uno a diritto per Torre Niccolai e uno a destra per Torre Centino (entrambi questi ultimi ci porterebbero all’eremo di Rupe Cava in un paio d’ore – dislivello m.400), noi prendiamo unicamente quello a sinistra ed arriviamo in breve alla Rocca, attraversando una bella lecceta e impegnandovi la mattinata. nota: Facendo attenzione perché l’edificio non è ancora in totale sicurezza, è possibile pranzare al sacco proprio al centro della Rocca.

Il pomeriggio - scendiamo a Molino di Quosa e con l’auto, seguendo la panoramicas via S.Pertini (che troviamo alla nostra sinistra) ci portiamo al monumento ai caduti della Resistenza, fermiamo l’auto e seguiamo la segnaletica CAI, a piedi, per 1,2 km verso l'eremo.

Eremo di Rupecava

Secondo la tradizione l'eremita Guglielmo di Malavalle edificò una dimora solitaria, che più tardi sarebbe diventata l'attuale eremo, sopra un luogo di tradizione pagana. Si ritiene che l'eremo di Santa Maria ad Martyres sia il più antico eremo del monte Pisano, anche se i primi insediamenti di eremiti sono riportati già nel IV secolo.

Consacrato nel 1214, l'eremo di Rupecava era uno dei numerosi insediamenti eremitici che nel medioevo costellavano il monte Pisano.

Nel 1749 a Rupecava si trovava ancora una comunità di frati agostiniani tra i quattro e i sei religiosi. In quell'anno, il generale dell'Ordine agostiniano chiese al reggente di Toscana di poter sopprimere il convento, per trasferirne i beni a quello di San Nicola, in Pisa. Il governo dell'epoca dette l'assenso e il monastero di Rupecava fu soppresso. Rimasero soltanto un padre, Luigi Cervelli, e un fratello laico, a svolgere le funzioni religiose per la gente della Romagna, frazione di Molina di Quosa. Nel 1801, i frati del convento di San Nicola vendettero Rupecava e il podere annesso ai Roncioni, ottenendone in cambio una grossa somma di denaro e un appezzamento di terreno presso il Castello di Ripafratta. Vendendo il convento, lasciarono gratuitamente la chiesa di Rupecava ai Roncioni, perché la custodissero e la mantenessero.

Fino alla metà dell'Ottocento il convento è stato abitato da un eremita. Alla sua morte, è rimasto completamente disabitato.

Dopo un periodo di abbandono, negli anni '70 del 1900 la chiesa ha subito un intervento di restauro da parte dei privati che ne erano entrati in possesso. Negli anni successivi, però, convento e chiesa sono stati sempre più oggetto di atti vandalici e sacrileghi, che hanno portato l'intero complesso in uno stato di rovina. Stato nel quale si trova tuttora. L'Eremo resta ad oggi di proprietà privata.

Video -  https://www.youtube.com/watch?v=q8krKBAYUPE

Nota: l’escursione può essere abbinata ad una castagnata pomeridiana poiché il castagneto è molto ampio, estendendosi fino alla fine dell’asfaltata al ristorante Quattro Venti (qui le castagne sono abbondanti e veramente buone), tuttavia nei fine settimana di ottobre ricordate che l' afflusso di persone e auto in zona è veramente incredibile.……. Per la castagnata quindi sarebbe meglio di venerdi oppure anche risalire a piedi da via dei mulini, lasciando l'auto a Molina di Quosa (la salita però è un po' faticosa)

info e prenotazione a agireverde@tin.it entro il venerdi precedente

 

Domenica 7 novembre - Da Pruno alla cascata dell’acquapendente

 

Pruno è un borgo di stampo medievale che si trova in alta Versilia, ai piedi della Pania della Croce, del Procinto, del Monte Forato e si sviluppa attorno alla torre centrale della chiesa di San Nicolò (XI secolo). Un tempo, quando nell’antico borgo vivevano quasi 600 abitanti, si viveva di agricoltura e dei frutti del bosco mentre chi non faceva il contadino si guadagnava da vivere lavorando duro nelle vicine cave di marmo cipollino, poi, con l’arrivo della strada asfaltata e quindi anche del progresso, in molti se ne scesero a valle tant’è che oggi gli abitanti sono meno di 100.

Con l’escursione odierna andremo alla cascata dell’Acquapendente. Raggiunto il paese di Pruno e lasciata l'auto nel parcheggio sottostante saliremo al borgo (che vale la pena di visitare, percorrendo le sue antiche e strette viuzze), attraversandolo e superando il Ristorante ‘Il Poveromo’. In pochi minuti saremo all’ultima casa dell’abitato (il percorso è ben indicato e non ci si può sbagliare) ed inizieremo a scendere in un fitto bosco di castagni per arrivare ad uno spiazzo dove si incontra un antico ponte in pietra che scavalca il Canal di Deglio. Da qui ci sono due sentieri per raggiungere la cascata dell’Acquapendente, uno che parte a sinistra poco prima del ponte e un altro che parte sempre a sinistra, subito dopo il ponte. Preso il sentiero dopo il ponte, seguendo le indicazioni, ed arrivati alla cascata faremo sosta, tornando poi per la stessa via, anche se è possibile fare un percorso ad anello. Nota: se si va a Pruno intorno alla fine di settembre o nei primi 15 giorni di ottobre, un’ottima castagnata è garantita e ne vale la pena, per l’ottima qualità della polpa di questo antico frutto dei boschi.

Tempi: da Pruno al ponte 30 minuti, da qui alla cascata altri 50/60 minuti. Ritorno in tempi simili, malgrado quelli indicati nei cartelli sul percorso che ci sembrano molto sottostimati.

Percorso dettagliato a : http://www.prolocoseravezza.it/escursione-it.php?nome=cascata-dell-acquapendente

Altro: https://irintronauti.altervista.org/la-cascata-dellacquapendente/

http://www.escursioniapuane.com/itinerari/itinerario.aspx?Id_Itinerario=51

Video: https://www.youtube.com/watch?v=KtEoFOxdWys

info e prenotazione a agireverde@tin.it entro il venerdi precedente

Domenica 21 novembre - il Parco delle Biancane

Le fonti energetiche alternative al petrolio: il calore della terra, genesi, storia e brevi cenni sul suo concreto utilizzo

Il Parco delle Biancane, inserito nei Siti dell'UNESCO nella rete dei Geoparchi,  è situato nelle Colline Metallifere Grossetane ed è dedicato agli amanti della natura ed a coloro che vogliono conoscere e scoprire i segreti  della geotermia  e dei suoi innumerevoli usi. Spettacolare l’ambiente, per i colori insoliti di rocce, gialle e grigie e rosse, degradate dall’azione di solfatare, mofete e geyser, continuamente attive con le loro emissioni di vapore sulfureo. La mattina ci vedrà passeggiare nel Parco poi, nel pomeriggio e in base alla luce ancora disponibile, decideremo se scendere a Sasso Pisano ad ammirare altri aspetti delle fumarole oppure tornare a Monterotondo e visitare il borgo, anch’esso di notevole fascino.

Approfondimento:

L'energia pulita
La risorsa geotermica è una fonte naturale di energia pulita. Il calore della terra, insieme al vento, all'acqua e al sole costituisce una delle fonti di energia rinnovabile. Si tratta quindi di energia inesauribile nel tempo e in grado di contribuire ai nostri crescenti bisogni energetici senza compromettere l'ambiente e le risorse per le generazioni future.
Oggi, in Toscana, la geotermia copre il 25% del fabbisogno energetico ed il centro nevralgico dello sfruttamento è nella zona boracifera di Larderello, oltre che di Monterotondo marittimo, dove l'utilizzo della fonte geotermica si è dimostrato praticabile ed efficiente: le centrali geotermiche producono circa 5 miliardi di kWh di energia elettrica, pari al fabbisogno energetico di circa 2 milioni di famiglie italiane, risparmiandosi in questo modo 1.100.000 tonnellate equivalenti di petrolio, evitando inoltre l'emissione di 3,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

Come nasce la geotermia?
Durante lo sviluppo del nostro pianeta, particolari fenomeni magmatici fecero risalire i magmi fusi in superficie, in determinate zone della Terra, come quelle oggi visitate. In questi luoghi la crosta terrestre è più sottile ed il calore delle rocce del sottosuolo è dieci volte superiore alla media terrestre e difatti, a circa 2Km di profondità, si possono incontrare temperature di 300°C, che solitamente si trovano a 7-8Km: questa è l'energia geotermica, contenuta sotto forma di calore nelle rocce del sottosuolo.
Per poter utilizzare questo calore del sottosuolo, è necessario un mezzo "di trasporto" che solitamente è l'acqua che circola sotto terra e che, a contatto con il calore delle rocce, si riscalda e forma serbatoi geotermici, dove l'alta temperatura è mantenuta da uno spesso strato di rocce impermeabili.
Per ottenere energia, vengono prodotte artificialmente - o esistono già naturalmente - delle aperture - "fratture" nel caso siano state create dalla natura - come i pozzi. Nelle manifestazioni naturali una diminuzione di pressione e un'immediata fuoriuscita di acqua calda, sotto forma di vapore dà luogo ai famosi soffioni boraciferi.

La storia
Già nel paleolitico fumarole, lagoni, geygers, getti di vapore, sorgenti d'acqua calda ed esalazioni di gas erano noti. Fenomeni suggestivi, attribuiti forse a divinità sotterranee che successivamente vennero utilizzate da Etruschi e Romani soprattutto per le cure termali, come vicino a Larderello dove si trovavano due importanti stabilimenti, le Aquas Volaternas e le Aque Populanie o anche come vicino a Sasso Pisano o a Monterotondo stesso.
Il Medioevo rappresentò un periodo di stasi  ma, con l'arrivo dell'anno Mille, anche l'estrazione e l'uso dei prodotti associati alle manifestazioni geotermiche ripresero. Un mercato che divenne fiorente nel Rinascimento, tanto da generare continue dispute tra le varie città toscane per il possesso delle aree termali. All'epoca venivano studiate e applicate le proprietà terapeutiche dell'acido borico - acque, fanghi ed esalazioni gassose - nella cura delle più varie malattie.
Nel 1799 poi, Paolo Mascagni, celebre anatomico, fisiologo e chimico, descriveva il metodo, da lui brevettato, per l'utilizzazione del calore naturale a mezzo di caldaie metalliche interrate in aree di "manifestazioni fumaroliche", e suggeriva la possibilità di utilizzare il calore naturale per l'evaporazione delle acque dei lagoni.
Si dovette però attendere il 1812 per la costituzione di una società che per prima tentasse l'utilizzo industriale dei sali borici delle manifestazioni di Larderello con i metodi proposti da Mascagni, che purtroppo fallì l'esperimento per ragioni organizzative ed economiche.

L'elettricità dal vapore
In seguito, fu Francesco De Larderel ad avviare l'utilizzo industriale dell'acido borico e a fondare l'attuale area industriale e lo stesso paese che ha preso il suo nome: Larderello.
La fabbrica e la vita sociale furono organizzate in funzione dell'attività industriale e nel 1849 De Larderel elaborò il Regolamento Generale nel quale si stabiliva l'organizzazione delle attività lavorative e tutte le altre attività sociali.
Finalmente, nel 1904, il Principe Ginori-Conti riuscì a trasformare la forza del vapore in energia elettrica accendendo cinque lampadine. Undici anni dopo, nel 1915, entrò in esercizio la prima centrale geotermica, la N° 1, con due gruppi da 2570 KW di potenza, con torri di raffreddamento in legno.Da allora la produzione di energia elettrica da vapore endogeno ha avuto un grande sviluppo mettendo in esercizio molte centrali geotermiche e oggi Enel, grazie alla ricerca e all'applicazione di nuove tecniche di esplorazione del sottosuolo ed all'acquisizione di nuovi impianti di perforazione, gestisce in Italia 34 centrali geotermiche (26 delle quali nell'area boracifera tradizionale) per un totale di 700 MW di potenza installata.

Come funziona Le centrali geotermiche utilizzano il calore delle profondità terrestri. La temperatura interna del nostro pianeta aumenta a mano a mano che si scende verso il centro. Questo aumento della temperatura è detto gradiente geotermico ed è di circa 3°C per ogni cento metri di profondità.
La prima fase consiste nell'individuazione del serbatoio geotermico: il sottosuolo viene investigato mediante apposite prospezioni per valutarne le caratteristiche. Una volta individuato un sito, con un serbatoio geotermico promettente, si passa alla fase di esplorazione profonda. Se i pozzi esplorativi confermano le indicazioni degli studi geoscientifici, si può passare alla fase di utilizzo, mediante i pozzi di produzione/reiniezione e le centrali geotermoelettriche. I limiti di profondità che attualmente è possibile ed economicamente conveniente raggiungere con la perforazione sono di circa 5000 metri. Dai pozzi, il vapore, tramite vapordotti (tubazioni in acciaio coibentato), viene trasportato alla centrale geotermoelettrica per essere immesso nella turbina (una macchina ruotante che trasforma parte del contenuto energetico del vapore in energia meccanica). È poi compito del generatore di corrente, o alternatore, trasformare l'energia meccanica di rotazione della turbina in energia elettrica.
All'uscita della turbina il vapore passa nel condensatore, dove una pioggia di acqua fredda proveniente dalle torri di refrigerazione lo raffredda condensandolo. Una frazione del fluido così ottenuto viene reintrodotta nel sottosuolo mediante appositi pozzi di reiniezione. Il rimanente evapora nelle torri di refrigerazione ed è immesso nell'atmosfera.
La reiniezione permette di mantenere in equilibrio l'ecosistema grazie alla restituzione di parte delle sostanze estratte; inoltre, restituendo parte del fluido, si riesce a prolungare l'efficienza del serbatoio. Dalla centrale geotermoelettrica escono quindi gli acquedotti che portano i fluidi al sistema di reiniezione ed i conduttori elettrici che portano l'elettricità alla stazione di trasformazione.

Itinerario tra i soffioni
"Una raffica repente schiacciava il vapore contro il suolo, lo ricacciava nelle pozze, lo addensava negli anfratti del monte. Tuttosi confondeva nella nebbia crassa…".
La frase è tratta dal romanzo "Forse che sì, forse che no" di Gabriele D'Annunzio (1910). Il suo nome, presente sul registro dei visitatori conservato nel Museo, attesta che il Vate visitò Larderello e i suoi lagoni il 29 ottobre 1909.
Il paesaggio in un secolo è cambiato, ma non completamente. L'area conosciuta come la "Valle del diavolo" è ancora caratterizzata dalla presenza di lagoni, piccoli crateri contenenti acqua calda, e di soffioni boraciferi che si sprigionano dal sottosuolo, dando vita a uno scenario lunare, unico in tutta la Penisola.                                     

Un paesaggio "infernale"
ll fascino di questi luoghi è legato all'attività geotermica e alla sue manifestazioni naturali, che hanno caratterizzato  e caratterizzano tuttora, l'intera area boracifera con fumarole, lagoni, geysers. L'attività geotermica ha segnato per secoli quella dell'uomo: qui sorsero le varie fabbriche per l'estrazione dell'acido borico. Con la perforazione di pozzi sempre più profondi,questi sono divenuti le vie preferenziali di risalita dei fluidi: per questo motivo le manifestazioni si sono progressivamente ridotte come numero e come importanza. Rimangono attive solo lungo il fascio di faglie che, nell'area tra Sasso e Monterotondo, mettono a contatto i terreni della copertura impermeabile con quelli del serbatoio. Dal suolo bianco e crepato, quando i soffioni non sono incanalati, si vedono levarsi alla temperatura di 100-200 gradi centigradi, bianchi pennacchi di vapore. In questa zona tra lagoni, sorgenti di acqua calda e fumarole, si trova una rigogliosa vegetazione costituita da arbusti, castagni e sugheri.

testi tratti da questi siti web:

http://it.wikipedia.org/wiki/Geotermia

http://it.wikipedia.org/wiki/Energia_geotermica

http://www.comune.monterotondomarittimo.gr.it/

http://www.comune.monterotondomarittimo.gr.it/default02b.asp?idm=

http://www.youtube.com/watch?v=VfmaYV9Q4_4&feature=related  video

info e prenotazione a agireverde@tin.it entro il venerdi precedente