escursioni effettuate in ambito turismo verde, per conoscere l'ambiente toscano ed alcune delle sue realtà          sostenibili (esempi):

AGIREVERDE e lo Sviluppo sostenibile:

Per Sviluppo Sostenibile si intende uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni, l’Agenda 21 è il piano di azione dell’O.N.U.per lo sviluppo sostenibile per il XXI°secolo (conf.naz.unite su sviluppo ed ambiente – Rio de Janeiro 1992-)

L’Agenda 21 locale, tende a sviluppare un piano d’azione condiviso che possa garantire la sostenibilità ambientale, sociale e economica del territorio.

La Provincia di Livorno ha promosso incontri al fine di costruire un processo partecipato e condiviso per la costituzione del Forum Agenda 21 locale ed alla costruzione di un piano d’azione per la Provincia di Livorno.

Agireverde ha aderito all’accordo di volontaria partecipazione per la promozione del Forum Agenda 21 per la Provincia di Livorno, impegnandosi tra l’altro a segnalare le azioni recentemente sviluppate o attivate ed i progetti programmati, che hanno attinenza con gli obbiettivi di sviluppo sostenibile locale.

  In tale ottica e non limitandoci al nostro territorio, ci guardiamo intorno per vedere cosa si fa in Toscana al riguardo e, ogni volta che visitiamo aziende in cui esiste un progetto già esecutivo, ne prendiamo nota, cercandone una eventuale riproducibilità a livello locale:

Domenica 30 novembre 2003.

 

   

visita all'allevamento ed all'opificio.

nella Alta Val di Cecina, ad una distanza di circa 5 Km.da Volterra, sulla Strada Provinciale del Monte Volterrano, visiteremo un'azienda che si estende su 250 ettari di terreno, in parte coltivati a cereali ed in parte destinati al pascolo di circa 1000 pecore di razza sarda

Alimentate con i foraggi propri dell'azienda e allevate allo stato semi brado, quindi non sottoposte a stress psico-fisici particolari, forniscono ottimo latte da cui si ottiene pecorino di varia stagionatura, ricotta, ravaggiolo, tomini  e baccellone, formaggi biologici di qualità elevata.

La giornata sarà dedicata alla visita della fattoria e dell'annesso caseificio, con particolare riguardo ai processi di lavorazione che portano alla produzione dei formaggi.

Splendido il panorama delle balze e dei calanchi, fenomeni naturali di erosione unici al mondo, che osserveremo dai pascoli della fattoria.

Dopo pranzo, con assaggi dei prodotti, prenderemo la via del ritorno, fermandoci nella zona dei Soffioni di Larderello.

indispensabile la prenotazione (entro il 31 ottobre, telefonando in ore serali al n°0586 861138). 

Se interessati ad un'analisi più approfondita della fattoria visitata (cliccare qui)

 

Venerdi 24 e Domenica 26 maggio 2002

Agireverde e l'apicoltura

La vita associativa di un alveare, è un esempio di organizzazione sociale tra le più ammirevoli: tutto quello che ogni individuo fa è dedicato esclusivamente alle necessità dell’alveare. Ogni ape è pronta senza esitazione a dare la propria vita per difendere la sua colonia. Nell’alveare ogni componente ha il proprio compito e ciascun individuo è incapace di vivere singolarmente, come se fossero delle “cellule” di un unico “superorganismo”.

Il superorganismo ha caratteristiche vitali proprie in quanto si nutre, sopravvive, si riproduce e si difende.

Tutte queste funzioni vengono svolte da 3 gruppi diversi di individui: la regina, i fuchi e le operaie.

La regina, che è sempre e soltanto una per colonia, è indispensabile perché è l’unica che depone le uova e che quindi è in grado di far sviluppare la famiglia; i fuchi, che sono i maschi delle api, sono valutati in numero di qualche centinaia e sono presenti solo durante la stagione primaverile-estiva, quando vengono allevate le nuove api regine. Le operaie, il cui numero varia in base alle stagioni (sono circa 15.000 in inverno e aumentano a circa 75.000-90.000 durante l’estate), costituiscono il grosso della famiglia e detengono il controllo di tutta la vita dell’alveare. Oltre agli individui adulti esiste nell’alveare un numero variabile di api giovani che si trovano in allevamento dentro le cellette dei favi e costituiscono la cosiddetta “covata”.

Il Miele

Sinonimo di dolcezza, cibo divino, alimento dai poteri miracolosi, il miele ha animato leggende e miti di molti popoli. Biondo come l'oro e così prezioso per la salute e per la bellezza, il miele è uno dei più bei regali che madre natura ci ha fatto.  Il nettare che le api raccolgono dai fiori, per diventare miele subisce complesse trasformazioni, che avvengono all'interno delle api stesse: in pratica, il saccarosio (zucchero composto) di cui è costituito il nettare, viene diviso in due zuccheri semplici, glucosio e fruttosio. Tutto questo lavoro si sarebbe dovuto verificare nel nostro organismo, ma grazie all'ape ci viene risparmiato.  Il miele risulta, quindi, un alimento semidigerito, perciò leggerissimo e facilmente assimilabile. Oltre gli zuccheri il miele contiene: sali minerali ( calcio, ferro, fosforo ecc...), vitamine, enzimi e proteine. Da ciò si può capire come il miele sia un alimento completo, con un elevato valore biologico.  Il miele è un alimento ad altissimo valore nutritivo ed energetico indicato: nell'alimentazione dell'eta della scuola, quando il fabbisogno energetico è richiesto in continuazione; nell'alimentazione dello sportivo, in quanto accresce lo sforzo muscolare e lo sostiene nel tempo, mentre il lavoro del cuore ne è potenziato; nell'alimentazione delle gestanti e nel periodo dell'allattamento nei quali le richieste nutritive sono aumentate e del tutto particolari.  Il miele ha dunque tutte le qualità per entrare a fare parte della lista delle terapie naturali: miele fonte di energia e salute.

 

Cenni storici

Gli uomini conoscono fin dall’antichità le api e il miele ed una pittura rupeste, risalente circa a 9.000 anni fa (mesolitico,) scoperta nei pressi di Valencia, in Spagna, raffigura un uomo intento a prelevare favi di miele da un alveare. Nell’antico Egitto poi l’apicoltura era molto sviluppata, come testimoniano molti bassorilievi e pitture trovati nelle tombe dei Faraoni, raffiguranti uomini intenti alla raccolta del miele ed al trasporto dei favi, su barche lungo il Nilo, per seguire lo sbocciare delle fioriture. Vasetti di miele di 3.000 anni sono stati trovati nelle tombe egizie ed etrusche.

Gli antichi riconoscevano al miele grezzo proprietà che poi la scienza avrebbe confermato: antisettiche, fortificanti, calmanti; nel mondo greco-romano erano noti gli effetti cicatrizzanti, tonificanti e l’utilità nelle affezioni intestinali.

Nella maggior parte delle società il miele rimase l’unico dolcificante fino a circa due secoli fa, quando iniziarono le importazioni di zucchero di canna dalle Indie occidentali, non c’è quindi da stupirsi se da millenni i popoli si ingegnano a lavorare con le api.

  L’apicoltura però inizia a diventare una professione solo dopo il 1850 quando, grazie all’americano L. Langstroth che iniziò ad inserire i favi in telai di legno rendendoli mobili, si comprese che era meglio salvaguardare l’incolumità dell’alveare, per poterne controllare l’attività nei vari periodi dell’anno, piuttosto che asportare i favi dall’alveare, distruggendoli per ricavare il miele.

incontro didattico/conoscitivo: 

                                                                                                                                                      Nella serata del 24.05, verranno illustrati dalla dott.Rossana Bonfitto alcuni aspetti della biologia dell’ape, con particolare riguardo alla sua caratteristica importanza come rivelatrice di inquinamento ambientale, venendo inoltre esaminati sia il ruolo dell’ape nell’impollinazione delle piante entomogame, quanto le peculiarità nutrizionali e terapeutiche di tutti i prodotti tipici dell’alveare (miele, propoli, polline, pappa reale, cera).

La domenica successiva (26.05) seguirà  un approccio essenzialmente pratico e, direttamente in apicoltura, verremo guidati   all’osservazione e comprensione  delle api in piena attività nell’arnia, arrivando  in ultimo all’ estrazione del miele dai favi. Verrà anche elaborato il concetto di utilizzazione di risorse legate al territorio, chiamandosi difatti “Apicoltura” l'arte di allevare le api in maniera razionale con lo scopo di ricavarne un reddito.                           

Se interessati ad un approfondimento sulle differenti metodiche dell'allevamento delle api e sulla produzione di miele e derivati, è possibile contattare direttamente l'azienda che ci ospiterà:

Azienda apistica La Mieleria, Titignano (PI) 347-5714512 oppure allo 050-772402.

Una moderna Azienda Apistica, in grado di garantire un prodotto di alta qualità, grazie all’ubicazione degli apiari, alla lavorazione artigianale, con centrifugazione e confezionamento a freddo ed al “Sistema HACCP” messo in pratica dall’Azienda, in ottemperanza a quanto previsto dal D.Lgs. 155/97 in applicazione della direttiva CEE 93/43 sull’”Igiene dei Prodotti Alimentari”.

L’Azienda si avvale della consulenza tecnica di un dott. Agronomo (moglie del titolare), svolge attività didattica nelle scuole, con visite guidate in Azienda ed è convenzionata con la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Pisa, per lo svolgimento del tirocinio teorico-pratico da parte degli studenti.

Le tipologie di miele di nostra produzione sono: Acacia, Castagno, Sulla, Girasole e vari tipi di Millefiori.

Sono disponibili confezioni da 1000 g - 500 g - 100 g e dei pratici dispenser per i barattoli da 1000 g e 500 g.

La nostra Azienda fornisce inoltre Prodotti Erboristici, Attrezzature  Apistiche per l’allevamento delle api e la produzione del miele, consulenza tecnica per l’installazione di apiari e medicinali veterinari autorizzati dalla vigente legislazione, compresi prodotti per l’Apicoltura Biologica.

Periodicamente organizziamo Corsi di Apicoltura teorico-pratici e, su richiesta, lezioni didattiche nelle scuole e visite guidate in apiario.

Il prossimo corso di apicoltura si terrà a partire da gennaio. Per informazioni telefonare al 347-5714512 oppure allo 050-772402.

 

La Toscana Del Gusto: la coltivazione dell’uva e la produzione dei vini nel Chianti.

Programma:

L'intento è quello di far conoscere la produzione del vino in Toscana, attraverso un'escursioni didattica e per far questo, effettueremo una passeggiata guidata in vigna con descrizione dei metodi di lavorazione ed indicazioni sulle diverse tipologie di vitigno che vengono coltivate in zona.

Secondariamente, ma non per importanza, visiteremo le cantine (cantina tecnologica con impianto di imbottigliamento e cantina per invecchiamento) dell'azienda selezionata, dove un'enologa ci  illustrerà i diversi metodi di lavorazione attuati.  

Caratteristiche della zona:                           

 La zona di produzione del 'Chianti' è costituita da un territorio, delimitato per legge, compreso nelle province di Firenze, Siena, Arezzo, Pisa, Pistoia e Prato. Questo ambiente è caratterizzato da un sistema collinare a grandi terrazze con vallate attraversate da fiumi. L’origine del vino Chianti si perde nei secoli, ma ha avuto la sua consacrazione nell’800 quando se ne codificarono gli uvaggi attingendo alle tradizioni del territorio; la prima delimitazione della zona è del 1932 e dal 1967 un apposito Disciplinare, riconoscendo la DOC, ne delimita definitivamente i confini e ne fissa le caratteristiche produttive. La Denominazione Chianti, riconosciuta di Origine Controllata e Garantita nel 1984, può essere integrata con le specificazioni 'Classico', 'Colli Aretini', 'Colli Fiorentini', 'Colli Senesi', 'Colline Pisane', 'Montalbano', 'Rufina' e 'Montespertoli' corrispondenti ad altrettante sottozone geografiche. In tali sottozone sono stabilite modalità produttive più restrittive e requisiti particolari per il vino. Esiste anche la tipologia 'Chianti Superiore' che prevede, oltre a caratteristiche qualitative più restrittive, minori rese produttive.

Dove andremo:

Villa Pillo è una tradizionale azienda agricola di origine medievale. Il primo proprietario fu il Marchese Incontri dell'omonima famiglia fiorentina, il quale, secondo l'antica modalità lavorativa della mezzadria, condusse i 700 ettari di proprietà al pieno sviluppo agricolo. Oggi la fattoria è di proprietà dei signori Dyson che hanno dato inizio ad un programma di sviluppo e potenziamento per ingrandire e modernizzare vigneti e cantina. Infatti sono stati a tutt'oggi reimpiantati 32 ettari di vigneti seguendo i tradizionali metodi toscani insieme ai più moderni metodi californiani.     L'azienda si basa soprattutto sulla produzione di vino e olio e in poco tempo ha raggiunto un grande successo a livello nationale e internazionale     La cautela nel maneggiare i grappoli, il controllo della temperatura di fermentazione e l'invecchiamento in barriques sono fondamentali scelte di qualità. La produzione va dai classici vitigni del Chianti alle nuove varietà come Syrah, Merlot e Cabernet Franc.                  

Per ulteriori chiarimenti e/o approfondimenti: 

www.villapillo.it 

Orbetello: dalla laguna al mercato

Brevi cenni Orbetello pesca lagunare s.p.a e sul laboratorio ittiogenico:

Dalle stradine che portano alla cima dell'Argentario è facile osservare le peschiere con i lavorieri per la cattura delle anguille, gli impianti di ossigenazione dell'acqua e le chiuse artificiali tra un bacino e l'altro: tutti quegli interventi che hanno cambiato e migliorato la laguna di Orbetello negli ultimi decenni fino al l991.
In quell'anno, infatti, ci fu una grande moria di pesci, per mancanza di ossigeno e così fu fatta una grande bonifica con raschiamento del fondo lagunare per liberarlo dalle alghe presenti in misura massiccia.
Con una barca raccoglie-alghe, per ogni giro della durata di mezz'ora, è possibile estrarre 40 quintali di alga leggera detta ricciaia, o 120 quintali di alga più compatta detta lappola. Ciò avviene dieci o venti volte al giorno per 3 o 4 mesi l'anno.
La Cooperativa Pescatori è presieduta da Massimo Bertacchini ed è composta da 75 soci.
Attualmente l'attività di pesca è affidata in esclusiva alla cooperativa e alla società che cura la commercializzazione del prodotto, denominata Orbetello Pesca Lagunare S.r.l., di cui presidente è Lindo Bondoni, con 3 dipendenti.
Il lavoro in laguna è molto articolato, i quasi ottanta soci, tutti pescatori DOC da varie generazioni, svolgono varie mansioni che vanno dalla pesca vera e propria, alla manutenzione delle peschiere e degli impianti, all'impianto di acquacoltura integrata, fino alla lavorazione dell'anguilla affumicata.
Gli addetti alla pesca vanno in acqua almeno una volta al giorno, anche quando il tempo è brutto ed è pericoloso stare in barca, per offrire al nostro mercato del pesce interno prodotti freschi di giornata.
I lavorieri delle peschiere di Santa Liberata, detta Peschiera di Nassa e Ansedonia effettuano gran parte delle catture con impianti fissi di reti a tramaglio dette martavello o a nassa con gabbie metalliche alle chiuse.
La linea di commercializzazione della cooperativa è così sintetizzabile:
- invio di prodotto nei mercati italiani, in particolare quelli del sud dell'Italia, Napoli, Pozzuoli, Sardegna e Roma;
- punto di vendita al dettaglio, interno alla struttura della stazione di pesca in laguna;
- valorizzazione dei pesci poveri come il cefalo, della bottarga e dell'anguilla affumicata;
- aromatizzazione con salse piccanti, peperone, olio d'oliva e prodotti tradizionali.
Con l'abbassamento delle quotazioni del pesce è stato necessario diversificare la produzione, recuperando modi tradizionali di trattare il pesce come può essere l'anguilla affumicata o sfumata, che è presente da sempre nelle nostre case e che adesso prodotta industrialmente può essere esportata e commercializzata.
Diversi giornali e televisioni nazionali si sono infatti interessati a questa antica-moderna produzione dell'anguilla sfumata, aiutando la Cooperativa Pescatori nella promozione.
La scelta della formula semplice ma efficace del recupero della tradizione con strumenti moderni è stato un asso vincente per la cooperativa, che da pochi anni ha aperto un ristorante all'interno della struttura, per chiudere nel migliore dei modi il ciclo della pesca, garantendo tradizione e freschezza anche attraverso tecnologie moderne di ristorazione.

visita agli impianti di allevamento ed al centro di riproduzione della
Orbetello Pesca Lagunare s.p.a
 
La laguna di Orbetello copre un’area di appena 2700 ettari, delimitati dai due tomboli della Giannella e della Feniglia. Proprio perché si tratta di una laguna, con scarsissimo ricambio d’acqua con il mare,  la caratteristica essenziale delle acque è quella di essere soggette ad ampi sbalzi dei valori  della temperatura, della salinità, dell’ossigeno disciolto e degli altri parametri chimicofisici, non solo nel corso delle stagioni, ma durante lo stesso giorno, anche nel giro di poche ore. Ciò significa che le specie vegetali e animali devono essere in grado, per sopravvivere, di compensare le ampie variazioni della qualità dell’ambiente  


Il laboratorio ittiogenico


il laboratorio ittiogenico della “Orbetello pesca lagunare s.p.a.”. Divisione autonoma dell’azienda che gestisce le risorse di pesca della laguna, con il nome di “Nassa s.r.l.”, la società che si occupa di riproduzione artificiale delle
specie più pregiate tra quelle che popolano le basse acque lagunari, è il
laboratorio ittiogenico “Santa Liberata”.

I bacini di allevamento della laguna occupano soprattutto spigole, poi orate e in piccola quota sogliole che  vengono poi immessi in vasche per la crescita semintensiva con scaglionamento del periodo di riproduzione: la spigola in inverno, l’orata in autunno e la sogliola in primavera.
Ma è soprattutto la spigola l’oggetto dell’attività del laboratorio.


La spigola
Specie costiera della famiglia dei Serranidi, presente nell’Atlatico e in tutto
il Mediterraneo, si presenta di forma snella, grigia sul dorso e bianca sul
ventre, ricoperta di squame ctenoidi. La testa è grande, con mandibola
prominente e piccoli denti a uncino. La spigola o branzino presenta per i
tecnici che ci devono lavorare la difficoltà di avere un dimorfismo sessuale
poco accentuato: è quindi piuttosto difficile distinguere i maschi dalle
femmine. La principale differenza è costituita dalla presenza nelle femmine, di
un rigonfiamento dell’addome durante il periodo riproduttivo e di una taglia
maggiore rispetto a quella dei maschi. Nella stazione di Santa Liberata si fa
riproduzione artificiale da una decina d’anni. Si tratta di tecniche che per il
pesce di mare sono state sperimentate da relativamente poco tempo; i primi
esperimenti sono quelli di Barnabè sul branzino, alla fine degli anni ’60 e che
alcuni ricercatori hanno cercato di semplificare, con lo scopo di ridurre i costi di lavorazione. “ La cattura dei riproduttori avviene nei lavorieri, in cui la spigola incappa in autunno, durante la smontata, insieme ad altre specie. I riproduttori vengono catturati con molta delicatezza e trasferiti in avannotteria. Qui, dopo breve bagno disinfettante, si ritrovano in bacini di stabulazione dove vengono trattati meglio, dal punto di vista alimentare, rispetto agli altri. Adesso però si dispone già di riproduttori, così non si deve più catturarli. L’alimentazione risulta
fondamentale per la riuscita della riproduzione stessa: prima e durante il
periodo riproduttivo gli esemplari selezionati vengono nutriti con molluschi e
crostacei, indispensabili alla completa maturazione delle gonadi”.

La riproduzione artificiale
Le vasche in cui avviene la riproduzione sono circolari, di circa 20 metri cubi
di capienza, con l’acqua, a 17 gradi, ricambiata almeno tre volte al giorno. E
qui avviene la riproduzione artificiale. “Alle femmine in cui è ormai prossima
la maturazione dei gameti pratichiamo un’iniezione intramuscolare a base di
gonadotropine corioniche umane (H.C.G.) in soluzione fisiologica al 6 per mille
di NaCl, effettuata alla base posteriore della seconda pinna dorsale, in dose
di 800-1000 U.I. per chilogrammo di peso vivo. Lamaturazione dei gameti viene
così accelerata, e, nel giro di 24-36 ore, un evidente rigonfiamento addominale
dimostra che l’animale ha risposto positivamente alla stimolazione. La
deposizione avviene al termine delle 60-72 ore successive al trattamento. La
fecondazione è naturale: nelle vasche vengono posti maschi in rapporto 1:1 con
le femmine. Le uova di spigola galleggiano, a causa della goccia lipidica e il
maschio può così facilmente fecondarle. Ogni femmina depone uova, mediamente, in ragione di 200-250 grammi per chilogrammo di peso. Le uova flottanti vengono raccolte in un cestello con fondo rete, e messe a incubare in bacini da 10 metri. L’incubazione dura tre giorni e mezzo, in acqua a 15 gradi. Al momento della schiusa le larve, provviste di sacco vitellino, misurano dai 3 ai 3,5
millimetri e si presentano esili e diafane”.

 
 Da larva ad avannotto
Inizia così il periodo più delicato per l’allevamento, ossia i
sessanta-settanta giorni di allevamento larvale, quelli in cui, in pratica, si
decide dell’andamento di una stagione produttiva. Il compito più importante è
quello di nutrire queste larve nel modo ottimale per favorirne lo sviluppo.
Spiega ancora Fommei: “Dal punto di vista alimentare le fasi più critiche sono
tre: l’esaurimento delle riserve vitelline, poi, dopo due giorni, l’apertura
della bocca e l’inizio dell’alimentazione con mangime, e infine lo svezzamento.
Le vasche per l’ allevamento larvale sono di 18 metri cubi, l’acqua viene
mantenuta, tramite l’immissione di acqua di pozzo miscelata a quella di mare,
alla temperatura costante di l6-18 gradi, mentre la densità può andare dalle 30
alla 70 larve per litro. Fin dai primi giorni l’istinto predatore della spigola
si rivela nel comportamento delle larve, che vanno subito a caccia di organismi
zooplanctonici di piccolissime dimensioni”.

Zooplanctony
La questione zooplancton apre un nuovo capitolo, quello della produzione, che a
Santa Liberata avviene in proprio, di organismi destinati a nutrire prima le
larve e poi gli avannotti. La produzione è di fitoplanctonti per alimentare gli
zooplanctonti e di zooplanctonti per alimentare i pesci.
Una catena alimentare completa, quindi. “Partiamo da acqua di mare sterile
concimata con alghe monospecifiche. Si avvia così la formazione della catena
algale, e nel giro di sette giorni il bloom algale è al culmine. A quel punto,
si prende un ceppo di rotiferi e lo si inocula nelle alghe. Ancora quattro
giorni e la concentrazione arriva a 500 grammi per centimetro cubo.
La produzione avviene in buste della dimensione dai 25 ai 250 litri”. Si
ottiene così ottimo cibo per larve di spigola che hanno superato la delicata
fase del passaggio dell’autoalimentazione a quella fornita dall’esterno.
Quindi, riprende Fommei, “dal quinto giorno vengono somministrati rotiferi cui,
a partire dal dodicesimo giorno, vengono aggiunti naupli di Artemia salina. A
diciotto giorni, l’alimentazione con rotiferi viene sospesa e a 25 entrano a
far parte della dieta i metanaupli di Artemia salina.
Dopo il trentacinquesimo giorno di vita iniziano le prime somministrazioni di
alimenti sfarinati bilanciati, che andranno a sostituire, a circa 55 giorni,
l’alimentazione a base di zooplancton”.


Preingrasso
Lo stadio di maturazione maggiormente a rischio è quello tra i 5 e i 30 giorni
di vita, periodo durante il quale le perdite possono arrivare al settanta per
cento dell’intero contingente iniziale. Molto meno complessa la fase del
preingrasso, che a Santa Liberata avviene in vasche da sessanta metri cubi, in
cui la densità è di 50.000 esemplari ciascuna. Nel periodo tra i 60 e i 120
giorni la spigolamanifesta la massima efficienza nell’attività predatoria che
comunque la caratterizza, e questo è un problema, perchè si verifica un discreto
cannibalismo, responsabile delle perdite di questo periodo: siamo intorno al
30-40 per cento della popolazione in allevamento. Naturalmente, un buon
controllo sull’alimentazione limita alquanto l’inconveniente e così pure la selezione dei soggetti, che va fatta ogni quindici giorni circa. Da qui si passa alle vasche all’aperto. Sono quelle grandi, in cui le spigole restano dall’età di sei mesi ai circa due anni. Ogni anno, infatti, a Santa Liberata si svuotano metà delle vasche alternativamente.

 Sono circa 500.000 gli avannotti che ogni anno abbandonano le grandi vasche
esterne da 400 metri quadrati. In questi bacini si procede dai due agli otto
ricambi d’ acqua al giomo in funzione del carico adottato. La spigola, a
Orbetello, può campare bene anche durante l’inverno: sopporta minimi termici di
3 gradi, sverna bene a 5 gradi e assume alimento tra i 7 e i 27 gradi.
In linea teorica, la temperatura media migliore, in inverno, è di 12 gradi, che
consente continua somministrazione di cibo, esclude interruzione
dell’accrescimento ponderale e limita la durata del ciclo a 24 mesi al massimo.
Importante è, ovviamente, la qualità dell’alimentazione anche in questa fase.
Commenta il direttore: “Noi siamo aziende interessanti per i mangimisti, dal
momento che, a differenza degli allevamenti di pesce di fiume che sono a 1:1,
il nostro indice di conversione è di ben 3:1, ossia, per incrementare di un
grammo il peso di ogni pesce sono necessari tre grs di mangime. E
quindi possibile ottenere una buona assistenza dalle aziende specializzate. In
ogni caso, il pellettato che si somministra alla spigola in fase di ingrasso è
costituito da farina di pesce, farina di carne, farina di sangue, farina di
patate, soia, siero di latte, materie grasse stabilizzate, oli di cereali,
melassa, lievito, integrazione minerale e vitaminica. In questi mangimi il
contenuto in protidi grassi è abbastanza elevato e spesso supera il 50% del
peso totale. Il pellet viene distribuito mediante alimentatori automatici a
tempo, distribuiti lungo la vasca”.

Pro e contro
Dal punto di vista tecnico, in questo sistema di produzione gli inconvenienti
sono molto limitati, e riguardano essenzialmente le prime fasi della
produzione. “Partire direttamente dalle uova presenta tre ordini
di inconvenienti: il primo è la difficoltà a trovare un opportuno bilanciamento
tra lo sviluppo degli zooplanctonti e il numero di larve schiuse, che può
variare moltissimo, così come le mortalità nelle prime 48 ore. Il secondo
elemento di difficoltà riguarda l’insorgenza di fenomeni putrefattivi sul fondo
delle vasche, difficili da controllare, anche perché durante le prime tre o
quattro settimane non è possibile effettuare ricambi, a meno di non perdere il
plancton. Infine, alcune componenti zooplanctoniche in ambienti di questo tipo
possono subire attacchi letali. Più avanti nel tempo, gli avannotti possono
essere colpiti da parassitosi e batteriosi, ma non da malattie virali. Le
affezioni più comuni sono la Tricodina, l’Aeromonas e lo Pseudomonas. Non si
tratta però di casi frequenti, fortunatamente. I vantaggi, invece, di questo
schema produttivo, stanno nella possibilità di essere applicato anche nelle
piccole dimensioni aziendali. Ci sono in giro mega allevamenti costati
centinaia di milioni o perfino miliardi. Sono possibili buoni risparmi
energetici e un modesto impegno impiantistico, salvo l’estensione piuttosto
elevata delle vasche, dal momento che il principio è quello della bassa densità
larvale per evitare eccessivi ricambi idrici”.
PER ULTERIORI INFORMAZIONI


ORBETELLO PESCA LAGUNARE S.R.L. 
0564 860288 9, V. LEOPARDI 58015 ORBETELLO - GR 

il mondo dell'equo e solidale 

Nel 1964, per la prima volta, all'inizio della conferenza UNCTAD di Ginevra, fu lanciato lo slogan "Trade not aid", per sintetizzare il nuovo orientamento strategico delle politiche di sviluppo, volte, cioè, a favorire un maggior equilibrio nella distribuzione della ricchezza mondiale, tramite il miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi economicamente meno sviluppati (PEMS). Fino a quel momento le nazioni industrialmente sviluppate avevano essenzialmente evaso il problema dell'accesso al mercato dei PEMS, preferendo offrire a questi paesi prestiti ed aiuti allo sviluppo.

Nel 1968, la conferenza si concluse osservando che "Commercio, non aiuti" sarebbe stato il metodo migliore di cooperazione allo sviluppo, ma le raccomandazioni di quest'organismo delle Nazioni Unite rimasero inascoltate per mancanza di volontà politica. In quel momento storico, in Olanda, alcuni gruppi attenti alle tematiche dello sviluppo, Cane Sugar Groups, avevano cominciato a manifestare degli obiettivi politici, attraverso la vendita dello zucchero di canna: "Comprando lo zucchero di canna, puoi aumentare la pressione sui governi dei paesi ricchi perché anche i paesi poveri abbiano un posto al sole della prosperità". L'evoluzione e lo sviluppo di questi gruppi portarono alle prime Botteghe del Mondo che vendevano, oltre alla canna da zucchero, anche artigianato importato, a quell'epoca, da SOS Wereldhandel. Questa organizzazione (poi divenuta Fair Trade Organisatie, secondo importatore europeo per volume d'affari dopo GEPA in Germania), importava già da alcuni anni prodotti da paesi in via di sviluppo. Fondata da diversi gruppi missionari cattolici olandesi, aveva cominciato le proprie attività con una campagna per portare latte in polvere in Sicilia (non dimentichiamoci che l'Italia era un paese in via di sviluppo). L'idea base di questa organizzazione era di raccogliere fondi e dare assistenza finanziaria a gruppi di produttori in aree economicamente svantaggiate, aiutando questi gruppi a divenire economicamente indipendenti.

Questo aiuto finanziario portò alla creazione di laboratori di produzione artigianale in vari paesi di quello che, a quel tempo, era chiamato "Terzo Mondo". Tuttavia, ben presto si pose il problema della commercializzazione di tali prodotti, molto ridotta nel mercato locale. SOS Wereldhandel cominciò, così, ad importare tali prodotti in Olanda, vendendoli attraverso gruppi di solidarietà ed attraverso le prime Botteghe del Mondo.

Questo periodo, fine degli anni 60, vede lo svilupparsi delle prime idee di quello che poi sarà chiamato "Fair Trade", tradotto in Italia come "Commercio Equo e Solidale". OXFAM, ONG inglese fondata da un gruppo di quaccheri e da altri gruppi religiosi ad Oxford, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, aveva cominciato ad interessarsi al problema della fame nel mondo, avviando progetti di cooperazione nei PEMS. Ben presto i cooperanti in questi paesi, si resero conto che una delle necessità di base di queste popolazioni era trovare un mercato per i propri prodotti. Comprare questi prodotti, favorendo occupazione a livello locale, e rivenderli nel Regno Unito, era una forma di cooperazione molto più rispettosa delle popolazioni locali, rispetto alla "charity" classica. Le popolazioni svantaggiate nei PEMS non erano più "mendicanti" bisognosi di elemosine, ma partner commerciali che ricevevano un giusto prezzo per le loro produzioni.

Nel 1965 OXFAM lanciò il programma "Bridgehead", con il quale cominciò l'importazione di artigianato da Africa, Asia ed America Latina. "Bridgehead" divenne ben presto un'ATO (Alternative Trade Organisation) la cui missione era legare contadini ed artigiani nel "Terzo Mondo" con i consumatori del "Primo Mondo".

Agli inizi degli anni 70 si assiste ad un primo sviluppo europeo del Commercio Equo. In Olanda ben presto furono aperte 120 Botteghe del Mondo, ATOs nacquero in altri Paesi, Belgio, Germania, Svizzera, Austria, Francia, Svezia. Inizialmente si trattava di ONG o di imprese private che importavano prodotti dal Sud del Mondo per rivenderli in Europa attraverso le Botteghe del Mondo (che allora si chiamavano anche Third World Shops), per posta, nelle fiere, nei mercatini missionari.

La fase politico-ideologica

Fra il 1974 e 1975, ci fu una fase di collegamento delle idee di Commercio Equo a quelle dei vari movimenti terzomondisti, antinucleari, ambientalisti, femministi, presenti all'epoca ed al movimento sindacale. Tutti basati su di una visione alternativa della società nazionale ed internazionale. A partire dal 1977 i prodotti vennero acquistati non solo dai piccoli produttori, ma anche da produzioni nazionalizzate dei paesi socialisti, come la Tanzania, per esempio. La parola "solidarietà" fu affiancata a "Fair Trade" ed usata spesso nella comunicazione fatta dalle ATOs. Nonostante quest'avvicinamento ideologico con i movimenti alternativi dell'epoca, il Commercio Equo rimase sempre basata sull'idea commerciale ed indipendente dai partiti politici.

È di questa fase l'importazione di prodotti legati ad un messaggio politico o di solidarietà internazionale: caffè del Nicaragua e dalla Tanzania (governi socialisti) o dai Paesi dell'African Frontline, come sostegno alla lotta anti-apartheid. In particolare il caffè del Nicaragua divenne un prodotto simbolo: rappresentava il sostegno alla rivoluzione Sandinista, vista come un genuino sviluppo di un'alternativa politico-economica, ed il rifiuto-denuncia della politica imperialistica degli Stati Uniti, concretizzatasi, nel caso specifico, nell'embargo e nell'addestramento e sostegno alla contro-rivoluzione (Contras).

Tale impostazione rimarrà per lungo tempo nel movimento di Commercio Equo, tanto da marcare anche l'inizio di questo movimento in Italia (le confezioni di caffè del Nicaragua importato da CTM, contenevano, fino al 1991, un esplicito sostegno alla rivoluzione Sandinista).

La fase commerciale

Agli inizi degli anni 80, il quadro internazionale muta nuovamente. Nel 1973 i cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo, avevano chiesto un Nuovo Ordine Economico Internazionale (NOEI) che, attraverso una fase di ristrutturazione delle relazioni economiche internazionali, portasse ad un miglioramento delle condizioni di vita nel Sud del Mondo. Come risposta a questa esigenza e di fronte al fallimento delle politiche di aiuto allo sviluppo seguite fino a quel momento, inizia una fase di "contro-rivoluzione" liberista, sotto forma di politiche di aggiustamento strutturale che prevedevano la fine dell'aiuto allo sviluppo "classico" (donazioni). I grandi organismi finanziari internazionali, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, sotto la spinta delle imprese multinazionali, cominciano a condizionare gli aiuti ad un riaggiustamento, in senso liberista, delle politiche economiche e sociali di un paese. Comincia, inoltre, a delinearsi un'opposizione al sistema di accordi internazionali sulle tariffe dei beni commerciali, fino a allora essenzialmente protezionisti. Il protezionismo e le tariffe preferenziali vengono viste, dagli economisti più in voga, come ostacoli allo sviluppo, e quindi da abolire. La strategia neoliberista ha i suoi alfieri in Ronald Reagan, Margret Thacher, Augusto Pinochet, o meglio, nei loro consiglieri economici.

La conseguenza di queste politiche fu che, quando i prezzi delle materie prime, incluso quelle alimentari, crollarono agli inizi degli anni 80, i risultati furono disastrosi per i piccoli produttori dei PEMS. Molti di questi, infatti, dipendevano da un solo prodotto, per esempio cacao, caffè o zucchero, conseguenza delle politiche nazionali di incentivo alla produzione di beni esportabili. La caduta dei prezzi portò ad un aumento della povertà e del divario fra paesi economicamente ricchi e paesi economicamente poveri, tanto che, alla fine del decennio, il numero di Paesi cosiddetti in Via di Sviluppo era aumentato, anziché diminuito, così come il numero di persone al di sotto della soglia di povertà fissata dalla Nazioni Unite.

I produttori di questi paesi necessitavano, disperatamente, di prezzi equi per i loro prodotti, di relazioni a lungo termine, di investimenti, di nuovi mercati. Le ATOs tradizionali non erano più in grado di assorbire una domanda crescente e si rendeva necessario il coinvolgimento del settore commerciale tradizionale nelle pratiche etiche. Verso la fine degli anni 80 ed agli inizi del 90, nasce, quindi, una seconda generazione di ATOs, sotto forma di Organizzazioni di Marchio di Garanzia, come Max Havelaar in Olanda (1988), o di imprese commerciali profit specificamente dedicate al commercio equo, come Cafédirect nel regno Unito (1992). È di questi anni anche il radicamento del Commercio Equo in Italia e Spagna, anche se, ancora, sotto forma di ATOs tradizionali. Sempre in questo periodo, nascono i primi coordinamenti internazionali di Commercio Equo: nel 1988, IFAT (International Federation of Alternative Trade) che raggruppa ATOs di importazione e di produzione/esportazione; nel 1990 EFTA (European Fair Trade Association).

L'idea alla base delle nuove iniziative era di cominciare a rivolgersi ad un pubblico più vasto del "pubblico militante" degli anni 70-80. Raggiungere il consumatore nei suoi luoghi di acquisto, piuttosto che "costringerlo" a cercare una Bottega del Mondo, spesso decentrata e poco visibile. È in questa fase che comincia a delinearsi anche un nuovo tipo di comunicazione al pubblico, basato sul concetto di salario giusto pagato ai produttori, di miglioramento delle condizioni di lavoro, di promozione dell'autosviluppo, di promozione dei diritti dei lavoratori. Questi criteri erano stati elaborati già nelle fasi precedenti, ma, fino a quel momento, non esplicitati. Si cominciano, quindi ad intravedere le linee di tendenza del movimento del Commercio Equo negli ultimi anni.

A partire dal 1992-1993, cominciano anche a svilupparsi progetti di assistenza ai produttori in senso commerciale: design dei prodotti artigianali, miglioramento delle proprietà organolettiche per gli alimentari, microcredito, studio di nuovi prodotti, uso di prodotti alimentari di base per prodotti trasformati in Europa. Il movimento del Commercio Equo diventa, gradualmente, più "business-oriented", attento al marketing, alla qualità dei prodotti, ad aumentare le capacità dei produttori di "stare sul mercato". Nascono nuove organizzazioni di Marchio di Garanzia, come TransFair in Italia (1994), che poi daranno vita al coordinamento internazionale FLO (Fair Trade Label Organisation). Parallelamente anche l'informazione si fa più sofisticata, differenziandosi fra informazione sui prodotti ed informazione più generale. Vengono sviluppate campagne europee di informazione/educazione attraverso la rete europea della Botteghe del Mondo, NEWS (Network of European World Shops) costituita nel 1994. In generale l'informazione è meno politicizzata e tende sempre di più a parlare dei produttori e dei principi di base, promuovendo il Commercio Equo nell'ambito di un più generale consumo responsabile.

Per quanto riguarda i produttori, si assiste alla nascita di organizzazioni di esportazione che comprano da diversi gruppi di produttori, da soli non in grado di sostenere gli oneri dell'esportazione, e rivendono alle ATOs europee, nordamericane, giapponesi, australiane e neozelandesi. I produttori, inoltre, reclamano sempre più un ruolo di partner, e non di semplici fornitori di prodotti, cominciando a partecipare al dibattito internazionale con un peso via via crescente. Nascono, inoltre, i primi negozi gestiti dai produttori nei loro paesi, per il mercato locale, e si effettuano i primi tentativi di commercio Sud-Sud.

A partire dal 1998

A partire dal 1998 il Commercio Equo entra in una nuova fase. Nel panorama internazionale le tendenze liberiste sono ormai diffuse ovunque, e le politiche economiche possono ormai distinguersi in liberiste moderate o liberiste estremiste. Inoltre, i concetti etici alla base del Commercio Equo cominciano ad essere conosciuti da un pubblico sempre più vasto e fatti propri da imprese tradizionali desiderose di "ripulire" la propria immagine, sotto la pressione dei consumatori.

Anche le istituzioni europee cominciano ad interessarsi anche politicamente al Commercio Equo (finanziariamente già da alcuni anni venivano sostenuti progetti di educazione): è di quest'anno la risoluzione Fassa del Parlamento Europeo, che riconosce il Commercio Equo in termini economici e politici, chiede l'elaborazione di criteri comuni, di un marchio unico, di una linea di finanziamento ad hoc, di un'apertura al dialogo da parte della Commissione Europea. A questa risoluzione seguirà, nel 1999, una Comunicazione della Commissione al Consiglio, atto non vincolante ma, comunque, politicamente rilevante.

Le organizzazioni di Commercio Equo europee, che avevano già cominciato ad interrogarsi sulla necessità di criteri comuni per un miglior riconoscimento ed una maggior garanzia verso il pubblico, elaborano dapprima una carta europea delle Botteghe del Mondo (1998) e, l'anno successivo, definizione ed obiettivi comuni a importatori, produttori, botteghe, marchi. Questo importante risultato viene raggiunto nell'ambito di FINE, sigla che indica il coordinamento informale dei network internazionali (FLO, IFAT, NEWS, EFTA). Si comincia, inoltre, a discutere di un sistema di monitoraggio integrato, che, partendo dal lavoro fatto finora dalle Organizzazioni di Marchio, vada oltre i loro limiti, ed aiuti ad identificare chiaramente quali sono le organizzazioni che possono definirsi "di Commercio Equo". Nel 1999 nasce la prima Bottega del Mondo in Portogallo, lasciando così la sola Grecia, nell'Unione Europea, senza una struttura stabile di Commercio Equo.

In Italia viene creata, nel 1999, la Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo, firmata da tutti gli importatori e dalle principali Botteghe del Mondo (in tutto 100 organizzazioni). Le organizzazioni firmatarie, inoltre, decidono di dar vita all'Assemblea Generale del Commercio Equo Italiano, con lo scopo di favorire il dibattito nazionale, elaborare la griglia di criteri per la verifica della Carta, avviare il dibattito sulla certificazione, creare gruppi di lavoro di interesse comune, coordinare, a partire dal marzo del 2001, le azioni verso le istituzioni italiane, attraverso un apposito Tavolo Politico.  

per approfondire il tema, eccovi alcuni siti da cui partire:

http://www.altromercato.it/it

http://it.wikipedia.org/wiki/Commercio_equo_e_solidale

questi invece sono due realtà consolidate sul territorio livornese: 

http://www.eco-mondo.it/  Ecomondo

http://www.nicalivo.com/   Ass.Italia/Nicaragua

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